“In teoria è così ma in pratica…” Quante volte hai sentito pronunciare questa frase nelle palestre (e non solo) da allenatori, giocatori, dirigenti, genitori, appassionati a qualsiasi titolo? L’ultima volta per me è stata qualche giorno fa. Ho sentito queste testuali parole in un noto podcast di pallavolo, pronunciate da un altrettanto noto tecnico italiano: “Ci sono degli esercizi che in teoria sono sbagliati, ma che se in pratica non faccio mi accorgo che la mia squadra gioca peggio”. Che suona tipo: “la teoria che assumo come giusta, e che continuo ad assumere come giusta, è contraria alla pratica, cioè teoria e pratica sono discordanti”.
Mentre nel linguaggio comune il fatto che teoria e pratica possano essere in qualche modo discordanti, è accettato, non può esserlo per noi che ci occupiamo di studiare lo sport, che cerchiamo di rendere scientifico il nostro lavoro. E’ come se si dicesse che quello che si è studiato, capito compreso non serve più, è inutile, come se la scienza avesse fallito e l’essere umano dovesse per sempre rimanere impotente davanti a un fenomeno inconoscibile. In realtà il tecnico in questione, di cui ho grande stima, credo utilizzasse questa forma linguistica per criticare la teoria, per far capire che secondo lui quella ipotesi teorica non è poi tanta corretta, ma ugualmente la sua affermazione mi è molto utile come esempio.
Un accenno di filosofia della scienza
Il problema della reale possibilità dell’uomo di “conoscere” i fenomeni del mondo che lo circonda è stato affrontato da praticamente tutti i grandi filosofi e scienziati. In particolare per quanto riguarda i metodi di conoscenza induttivo e deduttivo hanno parlato tra gli altri da Aristotele a Pierce passando per Hume, Kant, Hegel e Russell. Saltando tutti i passaggi che la filosofia della scienza ha percorso nei secoli prendiamo a riferimento il pensiero di Karl Popper il più grande filosofo della scienza dello scorso secolo. Egli sosteneva che:
da singoli casi particolari non si potrà mai ricavare una legge valida sempre e in ogni luogo, proprio perché noi non possiamo fare esperienza dell’universale
Secondo Popper, l’unico metodo scientifico valido è il metodo ipotetico-deduttivo, basato sul mettere alla prova l’ipotesi teorica verificando ciascuna delle asserzioni che da questa ipotesi si possono dedurre. Nel costruire una qualsiasi ipotesi teorica è considerato d’obbligo, da parte del ricercatore, formulare le sue asserzioni in modo tale che esse siano falsificabili in sede di esperimento.
Quindi non considerando valido il metodo induttivo ogni teoria può essere sottoposta a controlli efficaci e dirsi scientifica solo se formulata a priori in forma deduttiva. La peculiarità del metodo scientifico consiste nella possibilità di falsificarla, non nella presunzione di “verificarla”.
Nessuna conoscenza scientifica è eterna. Qualsiasi teoria rimane valida fino a che non viene falsificata.
Utilizzare il metodo scientifico
E’ compito di qualsiasi studioso quindi, vigilare sul fatto che qualsiasi teoria che presenti nei fatti delle lacune, delle falsificazioni evidenti, debba essere messa in discussione. Solo così possiamo seguire un ragionamento logico-scientifico per evitare di applicare conoscenze obsolete o mai realmente provate, che finiscono per appartenere quasi al regno del mito o della superstizione. Vi segnalo alcuni degli elementi a sostegno di alcune idee che sento spesso:
- perché l’allenatore x famoso fa così (quando la vittoria purifica e nobilita tutto – il problema è che magari vince malgrado questo elemento, e non grazie a questo elemento)
- perché ora si fa così (la moda del momento)
- faccio così perché si è sempre fatto così (la forza della tradizione)
- faccio così perché secondo me (senza alcuna spiegazione) è più giusto così
Un esempio per capire meglio
Analizziamo una classica frase in cui si evidenzia una discrepanza tra teoria e pratica:
“Nonostante secondo la teoria (impianto teorico da verificare) allenare il muro con i plinti non serva a niente , mi sono reso conto che nella realtà (risultato che falsifica la teoria) se non lo faccio la mia squadra mura peggio.”
L’asserzione “allenare il muro con i plinti non serve a niente” è una deduzione che risale al principio di specificità, secondo il quale i migliori risultati nell’allenamento di una certa tecnica specifica si ottengono solo mantenendo elevata la specificità dell’esercitazione. Nell’esercitazione di muro dai plinti è evidente che manchino alcuni elementi di specificità situazionali tra cui:
- valutazioni sulla traiettoria di alzata
- valutazione dei colpi possibili dell’attaccante per quel determinato tipo di rincorsa-stacco
- variabili nel rapporto della palla con rete e asticella
- valutazione del tempo di salto dell’attaccante
La procedura da seguire
“È la domanda il nostro chiodo fisso, Neo. È la domanda che ti ha spinto fin qui”
Trinity, da Matrix
- Verificare la qualità oggettiva della misurazione del fenomeno che ci interessa (tramite video analisi, scout)
- Nel caso la verifica dia esito positivo assumere che l’asserzione specifica che deriva dalla teoria è falsa
- Ri-analizzare la teoria e valutare quale parte dell’impianto teorico è debole, facendosi domande più approfondite
- Sostituire le parti deboli con nuovi costrutti teorici per via deduttiva
- Preparare nuove esercitazioni pratiche per corroborare o eventualmente falsificare la nuova teoria
Quindi nel caso specifico:
- Verificata l’esattezza della misurazione del miglior rendimento della squadra a muro correlando i dati di quantità di allenamenti “da plinti” e dati statistici di gara ottenuti da scout e analisi video
- Assumere una volta verificati i dati che l’asserzione “allenare il muro con i plinti non serve a niente” è semplicemente FALSA.
- Analizzando il “Principio di specificità” che, lo ricordiamo afferma: “i migliori risultati nell’allenamento di una certa tecnica specifica si ottengono solo mantenendo elevata la specificità dell’esercitazione” si potrebbe iniziare con queste domande:
- che cosa si intende esattamente per specificità di un’esercitazione?
- Quali sono gli elementi che qualificano il grado di specificità di un’esercitazione?
- Per specificità di un’esercitazione si intende essenzialmente che venga rispettato l’accoppiamento percezione-azione del gesto di gara. Nell’esercitazione dal plinto abbiam visto che mancano alcuni elementi che possono permettere di selezionare la risposta motoria (direzione della rincorsa, tempo di salto dell’attaccante) e non presentano variabilità tipiche della gara (distanza della palla da rete e la distanza dall’astina), ma rimangono preservati alcuni elementi (movimento del comparto tronco-spalla dell’attaccante, passaggio della palla sulla rete) da cui vengono comunque tratte molte informazioni e si possono affinare delle sensibilità. Il rapporto percezione-azione è rispettato solo da un certo punto in poi. Per cui il nuovo costrutto teorico sarà che “nell’allenare il muro con i plinti sarà necessario per completezza inserire anche gli elementi tipici dell’attacco reale, ma l’esercitazione con i plinti può essere funzionale a migliorare le dinamiche dei piedi in condizioni facilitate, e a migliorare la dinamica degli arti superiori”
- Ideare sperimentazioni pratiche che eventualmente falsifichino o corroborino le ipotesi teoriche
Considerazioni finali
Sebbene tutto possa sembrare un po’ complesso, il processo è lo stesso che normalmente facciamo per verificare la validità di qualsiasi affermazione sentiamo sul mondo che ci circonda. Ovviamente quando l’argomento diventa estremamente complesso il rigore e la precisione dei passaggi diventa decisiva per non perdersi e cadere in errori anche a volte clamorosi.
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